Dopo la trilogia dell'acqua ed i successi in Italia ed all'estero, torna il teatro dell'autore, attore e regista flegreo con un'opera divisa in due parti: la “fabbula di un omo che divinne un albero” debutta il 10 aprile a Napoli.
“E' proprio uno di quegli spettacoli per cui esiste un teatro Nazionale”: con le parole doppiamente soddisfatte del direttore del Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale Luca de Fusco (che ha visto confermare pochi giorni fa la nomina triennale del MIBACT) viene presentato uno spettacolo molto atteso dai sempre più numerosi appassionati del teatro di Mimmo Borrelli, autore, attore e regista da tempo ed a ragione considerato tra i maggiori drammaturghi italiani contemporanei.
Una popolarità confermata anche all'estero, e la circostanza poteva non sembrare affatto scontata qualche anno fa se consideriamo i tratti distintivi ormai tipici della sua opera, che affonda l'ispirazione nell'ambiente particolare ed unico dei Campi Flegrei e che viene raccontata in larga parte ereditandone anche la lingua originale.
Il viaggio dall'Acqua alla Terra
La Cupa, lo “svango” (svuotamento), quel profondo incavarsi del terreno soprattutto in zone vulcaniche e tufacee, assume più di un simbolo e qui si trasforma in versi, canti e drammaturgia per comporre il primo capitolo della nuova trilogia e passare dalla Trinità dell’Acqua (’Nzularchia; ’A Sciaveca; La Madre, ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimma) a questa nuova Trinità della Terra che ha la paternità come protagonista, la sopraffazione umana sulla natura declinata nell'elemento umano e nella materia.
Questa “fabbula di un omo che divinne un albero” si compone di due parti che saranno in scena nella loro interezza soltanto nella prima assoluta del 10 aprile al Teatro San Ferdinando di Napoli, alternandosi poi fino al 6 maggio, uno a settimana.
Compagni di viaggio
Anche questa volta i compagni di viaggio, per un teatro che necessita di comprensione endemica di luoghi, storia e vissuto carnale dei suoi personaggi, sono anzitutto gli attori che accompagnano Borrelli da anni (come Gennaro Di Colandrea e Geremia Longobardo), ed un cast per lo più già sperimentato che si è tuffato in questa prova di forte impegno ed impatto emotivo, capace di affrontare pagine furibonde con scene appositamente disegnate per questa lingua-universo.
Una così complessa operazione prima scientifica e poi autoriale (ben cinque anni di ricerche antropologiche sul campo trasformate in poesia, con uno sguardo attento alla Bibbia e talvolta al Corano) si rende possibile anche grazie alla concezione globale di un teatro percorso con ogni forma, dal gesto alla voce alla visione, con un particolare accento sulla composizione dell'ambiente sonoro.
A questo proposito è sicuramente determinante, come ricorda lo stesso Mimmo Borrelli, quella forma di narrazione che negli anni ha trovato una peculiare fusione fra lingua e suono grazie alle composizioni ed alle esecuzioni dal vivo del musicista Antonio Della Ragione, definito da Mauro Pagani “il più grande drammaturgo in musica d'Italia”.
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